
L’11 agosto alle ore 18:00 si inaugurerà presso Tenuta Rasocolmo la mostra di Pupi Fuschi dal titolo “Gli aquiloni pensano che la terra sia attaccata al filo” a cura di Mariateresa Zagone
La mostra sarà visitabile fino al 2 settembre 2023.
SS. 113 KM 23,200 Vico degli Ulivi, Contrada Piano Torre
98163 – Messina (ME)
Telefono
+39 393 3343760
email
info@tenutarasocolmo.com
Testo critico di Mariateresa Zagone
Quando fra marzo e aprile ho chiamato Pupi per la mostra che avevo in programma di inserire
nel cartellone del Summer Fest di Tenuta Rasocolmo, avevo visto con interesse varie opere sui
suoi canali social. La mano e la tecnica mi affascinavano come pure la sicura figuratività indice,
se mai ve ne fosse stato bisogno, del fatto che la pittura all’interno del contemporaneo ha
sempre più lo spazio privilegiato che le spetta. L’assolutezza rappresentata dal segno sulle due
dimensioni, la sveltezza compendiaria del colore sfrangiato e ribelle ai contorni pur marcati
hanno fatto il resto. Rimanevo però perplessa sul filo conduttore perché caratteristica di Pupi è
la libera e costante evoluzione con la quale sfugge a catalogazioni e appartenenze a correnti
artistiche.
Sbirciando mi appassionavano soprattutto le figure replicate sul campo pittorico tanto che
pensavo alla prossemica, allo spazio vitale per ogni essere umano in un contesto sociale.
Confrontandoci abbiamo ristretto e definito il campo all’alterità, all’altro da sé, al doppio,
tematica forte e attualissima sulla quale l’artista lavora da qualche tempo.
Questione di punti di vista, si direbbe!
Da qui il titolo, bellissimo, che mi sarebbe piaciuto tanto inventare e che invece è legato ad una
frase di Iacchetti.
Ogni scuola filosofica, direi ogni uomo saggio, mette tra le basi dei propri insegnamenti la
necessità di imparare a cogliere il maggior numero possibile di angolazioni e prospettive per
ogni argomento. Non è semplice come sembra: educazione, abitudini, senso morale,
esperienze, carattere, e molti altri aspetti compresa la fatica di applicare un certo impegno, sono
paraventi insospettabili frapposti fra i nostri occhi e ciò che vediamo. Le convenzioni dettate dal
vivere comune impongono modi di dire, di considerare, di valutare qualunque cosa passi
davanti al nostro sguardo; e così, spesso, si perde lucidità e soprattutto obiettività: si
confondono i confini tra ciò che realmente vediamo e quello che piuttosto vogliamo, o siamo
abituati, educati, viziati, indotti a vedere. Sempre più raramente cerchiamo di capire il “punto di
vista” degli altri, convinti in modo irreversibile delle nostre ragioni. I condizionamenti, sempre
esistiti e distintivi di ogni appartenenza culturale, nel corso sempre più “social” della nostra vita
attuale, se possibile, sono diventati più subdoli e più pesanti procurando continui stimoli a
“registrare” modi di pensare prefabbricati, ripetuti all’infinito come gli spot pubblicitari studiati
appositamente per invadere i nostri pensieri e rimanerci.
Le opere che ho scelto perché questo concetto, questo titolo e il focus stesso della mostra
fossero di immediata lettura per gli osservatori sono otto, di grande e medio formato, quattro olii
e quattro acrilici su tela. Su tutte spicca “L’Aquilone”, opera che ha dato il titolo all’esposizione in
oggetto, in cui due figure femminili in contrapposto si accampano su uno spazio incerto fatto di
luminescenze verdi e grige e, fra esse, una bambina accovacciata sembra essere l’unico
soggetto che abbia voglia di spingersi al di qua del campo pittorico rivolgendoci lo sguardo.
Anche le coppie protagoniste di “Abbraccio” e “Per mano” sono donne, alter ego l’una dell’altra
che, invece, non provano nemmeno a capovolgere il loro punto di vista nonostante nella
seconda opera la distanza fra le sedute potrebbe far pensare al tentativo di uno sguardo più
oggettivo che, alla fine, non fa altro che da specchio replicandone le posture.
Narciso, come da tradizione, è un uomo e il suo alter ego non prova nemmeno a staccarsi dal
sé con lo specchio che ne riflette l’immagine malinconica, quasi persa dentro un bagno di
chissà quale luogo.
Iconografie certo non nuove ma potenti, con linee spesse e nere che definiscono le figure in
maniera sincopata e con una pittura graffiata di grandissima espressività. La velocità e il
carattere sommario del tratto che non sempre definisce con precisione i soggetti, rendono
estremamente attrattive queste immagini. Sono figure sospese (due anche oggettivamente su
un’altalena) che, in parte, si legano ad una visione post-espressionistica senza tralasciare la
grande lezione classica in modo da adeguare i canoni della rappresentazione della figura
umana ad una società che vive perfino il dramma esistenziale in chiave egoica ed esteriore.
La mostra è anche un invito garbato a sentirsi un po’ aquiloni ogni tanto e ad immaginare di
vedere il mondo “attaccato ad un filo”… Magari si riuscirebbe a vivere più serenamente
l’avventura della vita lasciando spazio alla meraviglia del cambiamento.
Mariateresa Zagone
